Vanità o superbia? E se sto cercando lavoro come la mettiamo?
In questo mondo gridato e social, sembra che non si possa fare a meno di essere presenti sui social, di parlare di sé, di presentarsi e travolgere l’altro con quanto si è fatto…
A volte ho proprio l’impressione che si stia esagerando.
- Incontrate anche voi persone che vi raccontano il loro cv a pranzo anche se li conoscete da decenni?
- O persone che sui social ne dicono di ogni, come se fossero in casa loro, senza limiti, senza educazione, senza contesto?
- O persone che su LinkedIn, la rete professionale per eccellenza si diceva, si autolodano e congratulano per aver assunto una posizione nel board di un’associazione no profit che dovrebbe essere l’ultima delle loro occupazioni se veramente fossero professionisti di rilievo e “ in carriera” o persone che si autopubblicizzano per riconoscimenti cercati e pagati….
Insomma è vero che dobbiamo curare il nostro brand, ma quello che conta è ancora una volta la coerenza. E come comunico con gli altri e sui social deve essere coerente con il mio brand e il mio stile. Quindi ad esempio: misurato, calma, un po’ intrigante o che induce a riflettere, con una cadenza non oraria
neanche giornaliera!
Penso di non essere l’unica ad aver raggiunto “il colmo”.
Ho letto e messo da parte un articolo qualche mese fa di Nicola Gardini, intitolato "I Vanitosi? Sono ansiosi e insicuri". Qualche citazione merita.
Io e ancora io.
Ecco la vanità. Un esperto di psicologia sociale come Stendhal la considerava il peggior difetto dell’essere umano. Vi includeva: esteriorità, orgoglio, permalosità, suscettibilità, calcolo, arroganza, mondanità, frivolezza; insomma, tutto quello che mortifica lo scambio, la partecipazione e la scoperta. In una pagina autobiografica, dopo un brutto melodramma, ha sospirato: «Io vedo tutto il nulla della vanità.». Era, secondo lui, la passione più in voga del suo secolo. Non aveva visto il nostro.
– Nicola Gardini
I selfie
Un io può esistere solo come funzione, in un sistema di rapporti e di riconoscimenti reciproci. Eh sì, ci vogliono gli altri, o l’io, se non ci basta ridurlo al primordiale istinto dell’autoconservazione, dove va a finire? Negati gli altri a priori, il vanitoso stabilisce la relazione con un doppio di sé. Suo strumento e tratto distintivo è lo specchio, e questo va bene in tutte le varianti: dallo stagno di Narciso (e di tutti i suoi imitatori, la Laura di Petrarca, la Silvia o il Rinaldo di Torquato Tasso, il Dorian Gray di Oscar Wilde, la strega di Biancaneve etc.) all’impazzante selfie dei nostri giorni, singolare o collettivo, vera e propria prova di contorsionismo psichico e somatico, su cui Carlo Fava ha inventato una divertente canzone, Selfie di schiena. Svetonio ci racconta che l’imperatore Caligola si era fatto scolpire una statua d’oro a sua somiglianza e che tutti i giorni imponeva che la vestissero come lui. Più complicato e più dispendioso, ma il principio è quello.
– Nicola Gardini
Vanitoso o superbo?
Si è vanitosi quando si dà importanza principalmente alle cose materiali, a ciò che tutti hanno sotto gli occhi: la faccia, il fisico e quel che li accompagna, dalla capigliatura al trucco al vestito alla tasca al portafoglio. L’Encyclopédie di Diderot, alla voce vanité, sghignazza contro i patiti del vestiario lussuoso. La vanità non può appartenere alla persona che coltiva il pensiero, l’arte, la bontà. Una persona del genere sarà semmai superba, conoscendo i suoi talenti e non aspettandosi che questi gli siano attribuiti dall’esterno o dall’alto. Cicerone e Dante sono superbi – e ne hanno consapevolezza –, non vanitosi. Il filosofo Schopenhauer distingue così le due tendenze: «la superbia (Stolz) è la convinzione già esistente della propria superiorità, in un senso o nell’altro; la vanità (Eitelkeit) è, invece, il desiderio di suscitare quella convinzione negli altri, accompagnato per lo più dalla segreta speranza di poterla fare, di conseguenza, anche propria.
– Nicola Gardini
Preoccupante!
Se siamo tutti vanitosi, la baracca non sta in piedi, niente società. E perché l’universale disgregazione non abbia la meglio, si lascia a pochi “altolocati” il potere e la missione di governare. I vanitosi si credono padroni del mondo, e invece si distraggono dalle loro responsabilità civili, lasciando che altri si occupino delle questioni fondamentali, imponendo visioni e decisioni. Meglio un popolo di superbi, che almeno sanno che cosa succede fuori dei contorni dei loro specchi e, laddove sia richiesto, si rimboccano le maniche. Meglio ancora un mondo di specchi magici come quelli che il Ruggiero di Ariosto incontra dopo la sua sbornia di vanità nel regno di Alcina: una levigatezza luminosa in cui uno si vede fin dentro l’anima e, conoscendosi, acquista giudizio e preveggenza.
– Nicola Gardini