No-code: il nuovo mantra per sviluppare software rapidamente
Qual è il legame tra tecnologie, lavoro ed economia che rende coerente nella nostra linea editoriale questo argomento? Che l’innovazione tecnologica sia la leva per aumentare la produttività non sfugge a nessuno, così come non sfugge che la Digital Transformation sia una fase storica che sta rivoluzionando la vita delle persone, sia di coloro che la attuano che di quanti la subiscono, con un’accelerazione imposta dalla pandemia del Covid-19 e dalle sue conseguenze in materia di lavoro, con Smart Working ed eventi digitali di ogni tipo avanti a tutti.
Negli anni recenti si sono affermati nuovi paradigmi che hanno inciso sulle nostre vite: Social ed eCommerce, Mobile e IoT, Cloud e Intelligenza Artificiale (AI), cripto valute e Blockchain, giusto per citarne alcuni. Paradigmi che si sono portati appresso un sacco di opportunità, ma anche sfide e minacce (la rilevanza del settore che ruota attorno al tema della Security è lì a testimoniarlo). Ora, ciascuno di questi paradigmi ha comportato la richiesta di nuove competenze e capacità tecniche. Che non sono facili da reperire.
È infatti noto che vi sia uno sbilanciamento tra la domanda di figure con profilo tecnico e la capacità del mercato del lavoro di corrispondere a questa domanda: da un lato le scuole (non solo in Italia) non riescono a tenere il passo con la domanda, tanto che le aziende hanno cominciato a considerare candidati con formazione universitaria anche diversa dalle materie scientifiche, dall’altro il mercato del lavoro, nonostante richieda figure altamente professionalizzate, non offre carriere attraenti e retribuzioni adeguate, spingendo i giovani più intraprendenti a cercare la propria strada fuori dai nostri confini.
A fronte di questa situazione, le conseguenze per le organizzazioni sono pesanti: se il reperimento delle competenze tecnologiche richieste è di difficile attuazione, i piani slittano, i tempi si dilatano e i budget vengono sforati. Senza contare il progressivo invecchiamento del parco applicativo: sistemi pensati (quando va bene) tra i venti e i trenta anni fa, sono costosi da aggiornare e difficili da far evolvere; essi sottraggono risorse ai nuovi progetti, che a loro volta rischiano di partire con il fiato corto e di non approdare ai risultati desiderati. A pagarne il prezzo sono le imprese, che perdono competitività ed a gioco lungo si troveranno fuori mercato (ho in mente degli esempi, ma questo ci fuorvierebbe dal tema principale), perché le differenze si misurano sempre di più attraverso la capacità di portare innovazione nel settore di appartenenza.
Ecco perché da molte parti si guarda con interesse alle piattaforme chiamate “low code” o “no-code”, che permettono di sviluppare applicazioni anche complesse in una frazione del tempo. In particolare, le piattaforme di sviluppo “no-code” (senza codice, in italiano) consentono a programmatori e non programmatori di creare software applicativo tramite interfacce utente grafiche e configurazione invece della tradizionale programmazione per computer.
Di piattaforme di questo tipo ne esistono diverse, alcune prodotte da software vendor di grandi dimensioni ed altre realizzate da società dedicate, nate con il prodotto e generalmente in grado di offrire prestazioni più avanzate. È ad esempio il caso di WEM, realizzata da ZoomBIM Solutions, società olandese con sede ad Amsterdam nata nel 2008. La conosco bene perché, dopo un incarico di consulenza completato nel 2019, nel corso del 2020 mi è stato chiesto di assumere il ruolo di Partner Director, impegnando una parte significativa del mio tempo.
Utilizzando WEM i tempi di sviluppo di un progetto stimato durare mesi si riducono a poche settimane. Se i tempi si possono abbattere drasticamente, anche le risorse impiegate sono una frazione di quelle necessarie con metodi tradizionali. Al riguardo, uno studio comparativo realizzato da Tech Mahindra, tra i maggiori System Integrator a livello mondiale, ha messo a confronto uno sviluppo tradizionale JAVA con uno fatto con WEM per un progetto commissionato loro dalla più importante società di telecomunicazioni olandese.
I risultati parlano chiaro: a fronte di una stima di costo superiore a 500 mila euro (con sviluppo off-shore), impegnando un team di 11 professionisti per quasi 15 mesi (previsto go-live), è stato possibile completare il progetto in metà tempo, impiegando solo 4 risorse (di cui un analista di processo e due consulenti WEM on site) e con una spesa dimezzata. Lo stesso risultato si applica anche al post go-live. Sorprendente? Per chi non ha mai utilizzato WEM probabilmente sì, ma i clienti di ogni settore che la scelgono per i propri progetti sono in rapida crescita ed altrettanto velocemente crescono gli ambiti d’impiego. È possibile sviluppare ogni genere di applicazioni, inclusi portali e app native per dispositivi mobile, con una metodologia che si apprende abbastanza rapidamente attraverso corsi on line.
Sul fronte delle competenze, inoltre, è possibile fare ricorso ad analisti di processo anche per la realizzazione perché non è richiesta esperienza di programmazione, almeno in un team misto. Questo consente di orientare allo sviluppo anche laureati in discipline diverse da quelle tecnico-scientifiche, aumentando il bacino da cui è possibile attingere in fase di ingaggio.
Ricapitolando: se il backlog è superiore alla capienza del vostro budget, non è detto che dobbiate rinunciare ai vostri progetti o rinviarli al nuovo anno; adottando una piattaforma no-code per lo sviluppo potrete infatti rivalutare la situazione ed intraprendere una strategia alternativa.
Per maggiori informazioni potete consultare il sito web wem.io oppure contattarmi ad uno di questi indirizzi e-mail: stefano.longo@wem.io o stefano.carlo.longo@goodgoing.it.