Il linguaggio è neutro? Attenzione a cosa si comunica quando si parla, anche in un incontro di lavoro
Siamo certi che se un alieno sentisse parlare delle nostre società economicamente avanzate e liberali si farebbe un’idea di come stanno veramente le cose? Ovviamente i contenuti veicolati hanno un’importanza innegabile, ma siamo almeno sicuri di usare la lingua in modo neutro e rappresentativo della nostra realtà?
Facendo un salto di palo in frasca, nella migliore tradizione dadaista, vi pongo un altro quesito: perché quando in uno spettacolo di improvvisazione teatrale ambientato in un ospedale, senza scenario o costumi, entra in scena un uomo e una donna siamo tutti portati a dedurre che lui sia il medico e lei l’infermiera? Non abbiamo mai visto infermieri uomini o medici donne? Eppure, nel suo insieme, il pubblico si aspetta di vedere confermati degli stereotipi di un mondo che fu…
Ricollegando le due riflessioni solo apparentemente disgiunte e sapendo di rivolgermi a un pubblico democratico e consapevole, sollevo un’ultima questione: c’è qualcosa che si può fare a livello linguistico per raffigurare in modo più equo, rappresentativo e realistico la società in cui viviamo e contribuire a superare clichés usurati che, ahimè sono spesso causa di ingiustizie o addirittura di violenza?*
Il mare è composto da un’infinità di piccole gocce e anche la più lunga maratona si compone di tantissimi passi. Uno di questi è stato intrapreso dal Ministero dell’Istruzione con le sue Linee guida per l’uso del genere nel linguaggio amministrativo, che indicano come modificare i testi al fine di assicurare una maggiore neutralità di genere e rappresentatività dell’altra metà del cielo. Volentieri riprendo i passaggi più salienti di questo documento, sperando di potere essere di aiuto.
Anche l’Accademia della Crusca** da tempo raccomanda l’uso dei femminili regolari in riferimento a donne che svolgono funzioni un tempo esclusivamente maschili, scontrandosi spesso con forti resistenze da parte del discorso pubblico e di molti media: la chirurga e l’avvocata, la sindaca e la ministra, la giudice e la presidente sono femminili perfettamente regolari, ma ancora non si sono completamente affermati.
Superare queste resistenze e favorire un uso corretto del genere, tuttavia, è molto importante, perché è innanzitutto attraverso il linguaggio che noi esseri umani rappresentiamo la realtà in cui viviamo, e attraverso tale rappresentazione contribuiamo a consolidarla così com’è o, al contrario, a modificarla. In altre parole, il linguaggio è il mezzo con cui possiamo sia confermare gli stereotipi basati sul sesso, sia metterli in discussione. Se non cominciamo a dire la direttrice generale o la ministra quando è una donna a svolgere questi incarichi, sarà molto difficile superare il pregiudizio per cui si tratta di incarichi prettamente maschili. Parimenti, cominciare a dire le studentesse e gli studenti o le e gli insegnanti è un modo molto concreto e semplice per rafforzare e diffondere una cultura dell’inclusione e del rispetto delle differenze.
– Valeria Fedeli
Sottoscrivo appieno queste considerazioni espresse da Valeria Fedeli nell’introduzione del testo. E’ essenziale valorizzare la presenza femminile nel contesto delle professioni più prestigiose, e quindi di riconoscerla ed esplicitarla anche attraverso un uso inequivocabile della lingua italiana.
L’uso del cosiddetto “maschile neutro”, così definito in quanto usato indifferentemente per uomini e donne, non è la soluzione.
Da un lato è un’aberrazione grammaticale: in italiano il neutro non esiste.
D’altro lato è del tutto inefficace a sconfiggere i pregiudizi: la nostra mente funziona per immagini, se sento la parola avvocato non posso fare a meno di visualizzare un uomo, pur avendo conosciuto centinaia di avvocate nella mia esperienza di vita.
Contribuisce a metterci sulla giusta via l’introduzione anche in Italia del concetto di genere, nato negli USA, per intendere l’insieme delle caratteristiche socioculturali che caratterizzano l’appartenenza all’uno o all’altro sesso. Da qui la consapevolezza del fatto che ottenere la parità di diritti fra uomini e donne non richiede la cancellazione delle differenze tra uomo e donna, rendendo la donna “uguale” all’uomo ma, al contrario, il riconoscimento delle differenze di genere.
Come usare la lingua in cui ci esprimiamo?
Come usare la lingua in modo non sessista, ma al contrario rispettoso delle differenze e dell’uguaglianza nei diritti? Innanzi tutto prendendo coscienza del fatto che la lingua nasce in una società antropocentrica come mostrano i seguenti esempi:
Dissimmetrie grammaticali
- maschile non marcato (uso di uomo con valore generico), es. rapporto uomo-macchina;
- maschile inclusivo, es. gli studenti entrino uno alla volta;
- concordanza al maschile, es. le ragazze e i ragazzi studiosi sono sempre premiati;
- uso del maschile per i titoli professionali e ruoli istituzionali prestigiosi, es. il ministro Falcucci si è recato in aula
Dissimmetrie semantiche
- stereotipi: frequente uso in riferimento alle donne di aggettivi che indicano fragilità, es. svenevole, ingenua, altruista, fragile, mite, isterica e diminutivi, es. mammina, mogliettina, stellina;
- identificazione della donna attraverso l’uomo o la professione, es. il prof. Baldini e signora, la moglie di, la donna di
A questa visione del mondo oramai superata possiamo contrapporre un uso della lingua più consapevole, utilizzando i femminili regolari promossi anche dall’Accademia della crusca, come esemplificato nella seguente tabella:
-o, - aio/-ario
-a, - aia/-aria
architetta, avvocata, chirurga, commissaria, critica, deputata, impiegata, ministra, prefetta, notaia, primaria, segretaria (generale), sindaca
-iere
-iera
consigliera, infermiera, pioniera, portiera, ragioniera
-sore
-sora
assessora, difensora, evasora, oppressora, revisora
-tore
-trice
ambasciatrice, amministratrice, direttrice, ispettrice, redattrice, senatrice
E anteponendo l’articolo femminile:
termini in -e
la giudice, la preside
forme italianizzate di participi presenti latini
la dirigente, la docente, la presidente, la rappresentante
I nomi composti con capo- si dividono in due gruppi in base al rapporto che lega il prefisso con la seconda parte del composto:
(a) se indicano “capo di qualcosa” il prefisso e la seconda parte del composto sono unità separate (e ciò viene evidenziato anche dalla forma grafica): capo- muta in capi- al plurale maschile, ma rimane invariato al singolare e plurale femminile:
es.
il capo dipartimento i capi dipartimento
la capo dipartimento
le capo dipartimento
(b) se indicano “capo di qualcuno” il prefisso e la seconda parte del composto formano un’unica parola: capo- rimane sempre invariato mentre il secondo elemento del composto varia per genere e numero:
il caporedattore i caporedattori
la caporedattrice
le caporedattrici
Le linee guida del MIUR
Le Linee guida del MIUR suggeriscono inoltre due strategie contrapposte ed altrettanto efficaci, la visibilità e l’offuscamento:
Visibilità
In riferimento a due o più persone di sesso diverso si avrà l’uso simmetrico del genere grammaticale, cioè l’esplicitazione di entrambe le forme maschili e femminili, nell’ordine che si ritiene più opportuno (forma maschile seguita da forma femminile, o forma femminile seguita da forma maschile), sia che esse siano definite da nome e cognome:
es. Il professor Andrea Bianchi e la professoressa Paola Verdi oppure
La professoressa Paola Verdi e il professor Andrea Bianchi
Dare visibilià anche al genere femminile:
es. Gli alunni e le alunne oppure le alunne e gli alunni (e non soltanto gli alunni)
es. I docenti e le docenti oppure le docenti e i docenti (e non soltanto i docenti)
L’eventuale accordo di aggettivi, participi e pronomi è di norma al maschile plurale, secondo la norma grammaticale.
Oscuramento
È possibile, in alternativa, adottare una strategia opposta alla precedente, che possiamo definire “di oscuramento”, attuabile mediante alcuni espedienti grammaticali e sintattici che permettono di fare riferimento a una o più persone senza dare indicazioni sul fatto che si tratti di uomini o donne ma evitando al contempo l’uso del maschile inclusivo:
- ▪ termini o perifrasi che includano espressioni prive di referenza di genere
es. persona, essere, essere umano, individuo, soggetto - riformulazione con nomi collettivi o che si riferiscono al servizio o alla carica
es. personale dipendente/docente, magistratura, direzione, corpo docente/insegnante, segreteria, presidenza, servizio di assistenza, utenza, consiglio, personale - riformulazione con pronomi relativi e indefiniti
es. chi/chiunque arrivi in ritardo.
Si noti che il genere grammaticale può essere “oscurato”anche attraverso strategie di tipo sintattico:
- uso della forma passiva, che permette di non esplicitare l’agente dell’azione, es. La domanda deve essere presentata invece di I cittadini e le cittadine devono presentare la domanda.
- uso della forma impersonale, es. Si entra uno alla volta invece di Gli utenti devono entrare uno alla volta.
È possibile, in alternativa, adottare una strategia opposta alla precedente, che possiamo definire “di oscuramento”, attuabile mediante alcuni espedienti grammaticali e sintattici che permettono di fare riferimento a una o più persone senza dare indicazioni sul fatto che si tratti di uomini o donne ma evitando al contempo l’uso del maschile inclusivo:
▪ termini o perifrasi che includano espressioni prive di referenza di genere es. persona, essere, essere umano, individuo, soggetto.
▪ riformulazione con nomi collettivi o che si riferiscono al servizio o alla carica es. personale dipendente/docente, magistratura, direzione, corpo docente/insegnante, segreteria, presidenza, servizio di assistenza, utenza, consiglio, personale.
▪ riformulazione con pronomi relativi e indefiniti es. chi/chiunque arrivi in ritardo.
Si noti che il genere grammaticale può essere “oscurato”anche attraverso strategie di tipo sintattico:
- uso della forma passiva, che permette di non esplicitare l’agente dell’azione, es. La domanda deve essere presentata invece di I cittadini e le cittadine devono presentare la domanda.
- uso della forma impersonale, es. Si entra uno alla volta invece di Gli utenti devono entrare uno alla volta.
E allora?
Probabilmente molti lettori riterranno queste proposte eccessive e superflue. Non potrei trovarmi più in disaccordo. Il linguaggio plasma la mente e incide sulle mentalità, non ci sarà cambiamento nei fatti se non coadiuvato da cambiamenti di pensiero, e quindi di linguaggio. D’altronde, in lingua inglese, che non ha certo questi problemi visto che la maggior parte degli attributi e degli aggettivi sono neutri, da decenni si usano congiuntamente le forme he/she, his/her e varianti, o un uso alternato dei pronomi maschili e femminili in uno stesso testo (creando talvolta confusione) proprio per rappresentare nel modo più equo possibile sia gli uomini che le donne.
e per sdrammatizzare
Per concludere con un sorriso, sebbene in questo caso velato di amarezza, consiglio la visione di questo monologo della Cortellesi (https://www.youtube.com/watch?v=4WjhLSkXqTk), mentre i più interessati potranno leggere il mio post in inglese che tratta la stessa tematica applicata alla realtà anglosassone. Have fun!
* Peraltro, secondo la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica (Convenzione di Istanbul, ratificata dall’Italia con la legge 77/2013), un cambiamento culturale basato sul superamento di pregiudizi e stereotipi e sul rispetto e riconoscimento delle differenze è il primo e fondamentale passo per prevenire la violenza di genere.
** L’Accademia della Crusca si è espressa più volte sul tema, e in particolare sul linguaggio amministrativo, anche in un articolo pubblicato sul suo sito in cui auspica “che i termini che indicano ruoli istituzionali (e, per estensione, quelli che indicano lavoro o professione) riferiti alle donne siano di genere grammaticale femminile, dal momento che ciò permette anche la sicura identificazione della persona cui si fa riferimento e quindi l’eliminazione di ogni ambiguità.”