“il FATTORE C” di Paolo Iacci
Mi occupo professionalmente di lavoro ormai da oltre 15 anni come career coach. Inutile dire quindi, che per farmi una cultura nell’ambito del settore che comunemente viene indicato come HR (Human Resources) abbia letto e studiato molto di vari autori più o meno appartenenti al settore.
Uno di questi autori, che stimo in particolare, è Paolo Iacci. Lo stimo non solo per la sua fama (sarebbe un po' banale seguire la massa) ma da quando ha iniziato a pubblicare una newsletter – HR Online – in cui ho potuto apprezzare la sua visione disincantata, profonda, non ipocrita del mondo aziendale e dell’organizzazione. Glielo anche detto più volte.
Uno dei suoi libri si intitola “il FATTORE C”. A dir la verità, quando è apparso e lo ha presentato al Palazzo del lavoro di Gi Group a Milano qualche anno fa ormai non mi piaceva tanto il titolo: mi sembrava inelegante anche solo alludere al “C”.
In realtà la comunicazione ha le sue regole e quindi a un certo punto ho selezionato il libro per portarmelo e leggerlo in vacanza. Dico così perché acquisto ancora i libri in cartaceo e quindi quando parto per le vacanze tra i bagagli c’è anche la selezione dei libri…
In realtà io stessa nel mio primo libro – E’ facile cambiare lavoro se sai come fare” - riprendevo un titolo ben più noto e relativo a smettere di fumare e in più esordivo con il concetto che si riesce a trovare il proprio lavoro anche in Italia, anche senza essere figli di…, che è la tesi di P. Iacci.
Iacci in realtà a partire da questo terreno comune che ci accomuna (me a lui si intende 😊) allarga la trattazione a tante - se non tutte - le possibili interpretazioni del “C” in Italia, quindi non solo la raccomandazione per cercare lavoro o per fare carriera, ma anche l’azzardo con i tanti soldi spesi e le tante famiglie distrutte, la cultura “imperante per cui anche – a volte soprattutto - senza competenze si fa carriera.
La quarta di copertina infatti scrive:
“Chi ha ragione? Seneca che disse “La fortuna non esiste: esiste solo il momento in cui il talento incontra l’opportunità”, oppure Diogene: “Preferisco avere una goccia di fortuna che una botte di saggezza?? Donald Trump: “Tutto nella vita è fortuna” o Raymond Smullyan “La superstizione porta sfortuna”?
L'Italia è un Paese in mano all'irrazionalità più diffusa: ne sono testimoni migliaia di giovani che per il lavoro si affidano alle raccomandazioni o sperano nella buona sorte. È anche uno dei primi Paesi al mondo per spesa pro capite nel gioco d'azzardo e uno di quelli che più si affida a maghi, stregoni e falsi medici. Nella convinzione che la fortuna, la iella e il destino valgano più delle competenze, del lavoro e delle capacità individuali.
E noi? Quanto contano determinazione, voglia di fare e capacità?
Tre punti di vista - psicologico, economico e sociale - guidano il lettore in un'analisi brillante e leggera di un fenomeno drammaticamente diffuso. Perché la vita non è questione di avere delle buone carte, ma di giocare bene una mano che forse, in partenza, si presenta scarsa…
Ho apprezzato il libro perchè:
- Parla di lavoro che è il fondamento del nostro Paese e della nostra vita
- Approfondisce il tema “C” in tanti suoi aspetti
- Insiste sull’atteggiamento “negativo” a cui porta credere nella fortuna
Ecco ci sono alcune parti che voglio citare e che si riferiscono ina particolare alla combinazione dei punti 1 e 3:
Dio provvederà…
… i cosiddetti “NEET” sono in continuo aumento mentre le imprese accusano la mancanza di manodopera qualificata per quasi un milione id posti di lavorio. Si tratta di uno dei più tristi e pericolosi paradossi che stanno vivendo non solo le nostre imprese ma tutto il tessuto sociale del paese. Cito qui il caso dei NEET perché si tratta di un fenomeno purtroppo di massa le cui fondamenta materiali sono ovviamente date dalla perdurante crisi economica e dalla penuria di posti di lavoro. Nel formarsi di queto fenomeno però anche un’influenza grave di quella che io chiamo “l’ideologia del fattore C”. La tendenza cioè alla passività nella speranza che poi la buona sorte possa provvedere. L’abulia che si nasconde dietro uno scetticismo generalizzato e a un attendismo inerte che si annunci come pigro fatalismo. La sospensione della dimensione desiderante a vantaggio del ripiegamento su se stessi. L’apatia di molti giovani si contrappone alla determinazione di molti altri che con coraggio prendono nelle loro mani il loro destino e s’ingegnano per fronteggiare le difficoltà della situazione. Chi emigra in cerca di fortuna, chi si specializza in nuovi mestieri, chi con energia tenta la via dell’auto-imprenditorialità. Avremmo preferito per loro una vita migliore, ma tant’è. Questa è la situazione. Sta a noi modificarla e volgere al melio una situazione assai difficile e complessa. Ma per modificarla dobbiamo combattere l’ignavia di chiunque, a maggior ragione di chi dovrebbe avere più energia per affrontare con forza il proprio futuro.
– Paolo Iacci
Serendipità e fortuna
Il fisiologo Walter Bradford Cannon, tra i primi a utilizzare il termine, definì la serendipità come la “facoltà di trovare le prove a sostegno di un’ipotesi in modo del tutto inaspettato, o la capacità di scoprire nuovi fenomeni o relazioni tra fenomeni o relazioni tra fenomeni diversi senza avere avuto l’esplicita intenzione di scoprirli. Trovare l’inaspettato, saperlo riconoscere e saperlo utilizzare. Non si tratta solo di fortuna. Certo, questa costituisce una parte iniziale insostituibile. MA bisogna cercare e avere la costanza di continuare a cercare lungamente. E poi, davanti all’inaspettato, saperlo riconoscere e valorizzare. Ancora una volta la fortuna esiste e agisce potentemente, ma alla fine l’uomo è sempre e comunque l’artefice del proprio destino. Con le sue scelte, il suo talento, la sua perseveranza, la sua determinazione. Lo conferma anche l’atto più fortunato, la fortuna di incappare in una meravigliosa scoperta quando stavamo cercando tutt’altro… La serendipità non è una semplice coincidenza fortunata. Ha bisogno di sagacia, di competenza, di dedizione. La scoperta fortunosa da sola non basta. LA storia di Spencer Silver (ndr l’inventore del post-it) lo dimostra… … Teoricamente tutti possono beneficiare della “serendipity”. Perché ciò accada, è però necessario avere la mente sgombra e disponibile, essere sempre cioè in quello stato di veglia attenta che ci permette ancora di godere delle sorprese della vita. E’ molto importante capire che non si tratta di fortuna, ma di una vera e propria facoltà, la capacità di trovare senza cercare. La serendipità aiuta soltanto gli audaci e chi ha il background indispensabile per sfruttarla. …
– Paolo Iacci
Proviamo / provate a lettere anzi rilegger quanto sopra con calma e pensando al vostro lavoro, alla soddisfazione nel lavoro, alla ricerca di un nuovo lavoro….
Io ho letto questo libro con questo in mente – che è la mia missione - e vi ho trovato una testimonianza di quanto serva coraggio e determinazione per iniziare la propria carriera e perseguirla e quanta serendipity serva per cogliere le occasioni nel lavoro (e nella vita). Ecco perché anche le vacanze o i momenti di relax come una passeggiata o una seduta yoga nutrono la nostra “serendipity”. E ora ... buon rientro!