È tempo di mettersi in viaggio!
Ovvero: quando è il momento di cercare un nuovo lavoro
Siete ancora giovani, avete già maturato un’esperienza significativa, disponete di un potenziale ancora da sviluppare, ma il vostro attuale lavoro non vi offre la possibilità di crescere con la velocità che desiderate? Siete insoddisfatti del trattamento ricevuto e sapete che è difficile ottenere aumenti retributivi perché i margini dell’impresa non lasciano molto spazio alle speranze?
Può accadere, se lavorate in un’organizzazione che non ha le dimensioni per far crescere i propri collaboratori e non dispone di una strategia improntata alla crescita. Anzi, c’è il rischio, concreto, che un’organizzazione di questo tipo entri in una fase involutiva o sia oggetto di un’acquisizione (che di per sé potrebbe non essere il male peggiore, se non fosse per i rischi a cui si va incontro quando a cambiare è la proprietà).
Dunque, è tempo di valutare la possibilità di cambiare lavoro.
Già, cambiare lavoro.
Ma cosa è prioritario?
Cambiare datore di lavoro per fare le stesse cose, magari con una retribuzione migliore e un avanzamento di carriera che vi permetta magari di guidare un gruppo di persone, oppure siete insoddisfatti del tipo di lavoro che state facendo e vorreste fare qualcosa di diverso?
Pensateci bene, perché si tratta di due strategie di ricerca profondamente diverse.
Nel primo caso, quello più coerente con il vostro CV (considerate che le ricerche per la selezione di personale guardano sempre alla vostra ultima esperienza, trascurando ciò che è venuto prima) si deve affrontare la ricerca di un nuovo impiego con azioni che si predisporranno alla ricerca di colloqui in un certo modo.
Nel secondo caso, la ricerca è complicata dalla necessità di costruire un substrato di competenze che vi permetta di far valere le vostre capacità più che la vostra esperienza, il potenziale che potete far valere piuttosto che i risultati che avete raggiunto.
Comunque, per cercare di aiutare chi si stesse identificando con queste situazioni, ho rivolto a Cristina Gianotti, fondatore e Managing Partner di GoodGoing! Career Empowering alcune domande.
D. Il mondo del lavoro è cambiato in modo radicale dall’inizio della pandemia. Ma già da qualche anno l’avvento delle tecnologie digitali ha inciso profondamente sulla natura e le modalità di ricerca del personale e sulle competenze richieste a figure di ogni tipo. L’inseparabile smartphone, la DAD, il lavoro a distanza, le piattaforme social, la TV on demand, il commercio elettronico, ecc. hanno inciso sui nostri costumi in modo irreversibile. Quali cambiamenti hanno determinato questi macro-trend nell’ambito della ricerca del lavoro?
Da molti anni gli annunci cartacei sono residuali su pubblicazioni locali, quelle che ancora sopravvivono. I grandi quotidiani non hanno più pagine o inserti dedicati agli annunci. Tutto online quindi. Bisogna però saper scegliere e rimanere aggiornati sulle piattaforme più utilizzate in un certo periodo. Qualche anno fa spopolava “Monster”, ora di sicuro si deve usare LinkedIn, e magari anche “indeed”. Non ho mai consigliato Experteer che ho sempre ritenuto un collezionatore di annunci già presenti sul web e in più a pagamento…
Queste piattaforme hanno portato online gli annunci. In più, alcune – in primis Linkedin – offrono dei servizi di segnalazione degli annunci in linea con il proprio profilo, se il profilo è stato comunicato in qualche modo (caricando un cv o compilando il profilo come richiesto) e se sono state fatte nel tempo delle ricerche sulla stessa piattaforma.
La logica dell’annuncio, cioè come funziona l’annuncio, non è cambiata: si devono avere i requisiti richiesti per il ruolo ricercato. Se si è interessati all’azienda o ad un ruolo diverso da quello ricercato, l’annuncio non è il canale da usare. Tra gli altri motivi, alcuni di questi portali, nonché le stesse società di ricerca e selezione e le aziende più grandi, usano sempre più di frequente strumenti automatici per lo screening, detti AST (Applicant Tracking System). Non c’è quindi una persona dell’azienda che sa chi si sta cercando e perché ma dispone al contempo di una visione allargata per cui potrebbe - imbattendosi in un profilo interessante – metterlo da parte e fargli un colloquio. Questi tempi sono finiti.
Per rispondere a un annuncio bisogna essere selettivi e consapevoli di quanto si è in grado di offrire rispetto alla richiesta e procedere solo se c’è un buon match. Un suggerimento può essere quello di scrivere una presentazione che espliciti tale match e usare i termini usati dall’annuncio nella presentazione o proprio nel cv (o fare comunque un double check rispetto al linguaggio utilizzato).
I colloqui sono online non solo per la pandemia, ma perché anche in Italia (in UK l’ho visto fare ormai 25 anni fa) si iniziano a fare dei colloqui di prescreening che non sono solo relativi a prendere l’appuntamento per il colloquio, ma sono già una breve intervista per la verifica degli elementi discriminanti. Questo prescreening è in genere al telefono. Si procede poi con una video call. Per la video call si danno tanti suggerimenti che sono fondamentalmente di buon senso: luogo tranquillo, sfondo presentabile o scelto tra quelli messi a disposizione dalla piattaforma, formalità e professionalità. A fianco, acqua, penna e foglio, il proprio cv, un calendario. Tutto a portata di mano in caso di bisogno. Telefono silenziato, porta chiusa. Una prova di connessione, di uso della piattaforma, di come si vede il volto e i vostri occhi da parte dell’interlocutore è necessario, senza che ve lo faccia notare l’intervistatore appunto.
Una volta ho speso mezz’ora con una candidata che non aveva Teams, non le funzionava, non aveva ricevuto il link o non lo trovava, … abbiamo usato WhatsApp video. Se fosse stata una selezione l’avrei scartata su due piedi. L’utilizzo delle tecnologie non è neanche più una domanda. È una realtà da dimostrare in pratica specie tra i giovani.
D. Dopo un periodo di sostanziale stagnazione, sembra di assistere a un progressivo risveglio del mondo del lavoro che, in modo per ora selettivo, ha ripreso ad assumere. Inoltre, pare che siano in molti a pensare che sia tempo di mettersi alla ricerca di un nuovo impiego. Qual è dal tuo punto di osservazione la situazione? Concordi anche tu sul fatto che, nonostante si sia ancora in una fase difficile, si intravvedono segnali di cambiamento?
Ci sono alcuni settori che hanno continuato le attività durante il periodo. A parte l’inizio del primo lockdown che ha scioccato tutti, poi molti settori si sono attrezzati. L’ICT e la consulenza lavoravano da remoto e con strumenti digitali da decenni, ad esempio. Anche il settore HR si è attrezzato, almeno in termini di strumentazione. La moda e il retail, viceversa, hanno sofferto tantissimo ed hanno tagliato diverse posizioni, almeno ai livelli alti, oltre ad usufruire della cassa integrazione.
Molte aziende – che tipicamente sono poco propense al rischio – hanno di fatto congelato le posizioni in attesa di avere una maggiore visibilità sul futuro ed anche per questioni relative ad alcuni impedimenti ai licenziamenti che da una parte mantengono i posti e, dall’altra, pongono però dei vincoli in termini di nuove assunzioni.
In realtà l’ultimo anno non è stato così scarso di opportunità come altri periodi di crisi che abbiamo sperimentato mentre già facevo questo lavoro come, ad esempio, gli anni 2012 e 2014.
In generale, poi, uno cerca lavoro quando ne ha bisogno, perché lo ha perso, sta male dove sta, oppure inizia a farsi un’idea di cosa cercare e come muoversi in modo da essere pronto quando si presenterà l’opportunità.
In sostanza, quindi, sì, è ora di muoversi. L’anno scorso sono stata tra le più prudenti da subito. Oggi vedo il nuovo “normal” che avanza. Le APL (Agenzie per il lavoro) hanno ripreso le attività, le società di ricerca e selezione sono ancora un po' lente rispetto agli anni scorsi ma si stanno riprendendo da un paio di mesi. Gli Head Hunter lavorano molto poco su poche figure che non sono impattate dal blocco dei licenziamenti, ma che sono state allontanate su base di accordi tra le parti che si sono sempre fatti.
D. Per una persona che ambisce a cogliere nuove opportunità o che semplicemente ha delle ragioni per sentirsi insoddisfatta della sua attuale posizione di lavoro è venuto il tempo per pensare a cambiare lavoro?
Direi che passato l’anno dei lockdown e delle molte chiusure l’orizzonte si prospetta più roseo e quindi, anche se andiamo incontro a delle ristrutturazioni aziendali magari significative in certi settori, in altri la crescita riprenderà a correre, dove i parametri sono però quelli italiani, sempre un po' più deboli rispetto ad altri paesi forti.
Iniziare a pensare di cambiare, prepararsi, fare delle considerazioni, dei piani, confrontarsi con dei professionisti, iniziare a parlare con qualche ex collega, ex capo, ecc.: è ora!
D. Che consigli daresti ad un giovane con qualche anno di esperienza, buone capacità e ambizione la cui carriera risulti bloccata nella posizione attuale? Nel caso in cui non sia facile poter realizzare le proprie ambizioni nell’attuale impiego, come consiglieresti di avviare la ricerca di un nuovo lavoro?
Da solo o con il supporto di un vero professionista (attenzione ai tanti coach che ti “pompano” con “io valgo” e non ti danno un consiglio concreto che sia uno) farei un’analisi delle mie competenze sia “hard” che “soft” e dei miei desiderata di fondo.
Individuerei diverse strade, non una sola ideale e basta.
- Mi preparerei un cv ben scritto e una serie di motivazioni concrete a sostegno dei vari obiettivi sopra.
- Aggiornerei LinkedIn e comincerei a ”frequentarlo” attivamente ogni giorno non solo per la parte “jobs” ma proprio per vedere di cosa si parla.
- Manderei qualche “application”, manderei il cv a una serie di società di ricerca e selezione, individuerei una serie di persone con cui parlare per fissare l’obiettivo e avere suggerimenti e … contatti e farei una lista di aziende in cui andare a lavorare non focalizzandomi solo sui nomi noti a tutti. Esiste un mondo al di fuori delle Nestlè, Coca Cola, IBM, Edison, ecc. da scoprire anche con l’aiuto di LinkedIn o leggendo varie newsletter di settore o frequentando alcuni webinar.
Soprattutto mi direi: voglio cambiare entro il mese di … .
Se non dichiariamo l’obiettivo e non ci diamo un tempo, non c’è metodo che tenga, passano davanti altre priorità dal lavoro attuale al divano, dal libro alla chiacchiera con l’amico…
La ricerca deve diventare un lavoro a cui dedicare un’ora al giorno: non di più, non di meno. Per non perdere il focus, per intercettare quanto si sta muovendo. Questi sono i mesi buoni. Se arriviamo a luglio… tanto vale andare in vacanza e risvegliarsi a settembre.
D. Immagina che il nostro candidato sia intenzionato non solo a cambiare datore di lavoro, ma anche a prendere in considerazione la possibilità di svolgere un lavoro diverso da quello attuale, con l’intento di imprimere una svolta o semplicemente di allargare i suoi orizzonti prima che la propria specializzazione lo costringa a restringere sempre più il campo di ricerca di nuove opportunità d’impiego. Quanto ritieni possibile questa eventualità e come si dovrebbe comportare?
Se la persona è giovane (esempio trentenne) si può fare a costi ragionevoli. Si possono analizzare settori / lavori che hanno logiche simili a quello di provenienza e lavori che richiedono competenze simili in termini di competenze trasversali: un esempio su tutti il project management.
La ricerca in questo caso è più sbilanciata sui canali della ricerca e selezione, networking/candidatura piuttosto che sugli annunci che sono “rigidi” come dicevo all’inizio.
Qui ci vuole un po' più di creatività, entusiasmo, pensiero laterale, “sfacciataggine” o convinzione. Si deve essere abbastanza convinti che è ora di cambiare e guardare in avanti e concentrare qui le energie, risparmiandosi un po' sul lavoro corrente. Disinvestire mentalmente anche in termini di orari soprattutto se questi orari debordano ampiamente quanto richiesto. Non sempre bisogna essere perfetti, la definizione di qualità è “rispondere ai requisiti”, quante volte se siamo esigenti andiamo oltre quanto richiesto? Ricordiamo e applichiamo la legge di Pareto dell’80/20.
D. Secondo te è più consigliabile a) mantenere una stretta coerenza nel percorso di carriera oppure b) ampliare in senso orizzontale le proprie competenze per allargare la visione? Se guardo alla mia esperienza, orientata alla seconda, ed ai risultati ottenuti, non credo di avere una risposta certa. Mentre di certo c’è che le società di ricerca del personale tendono a leggere sui CV solo l’ultima esperienza, in tal modo forzando una continuità di carriera al di là delle capacità e ambizioni di chi cerca una nuova possibilità. Infine, ho avuto colleghi che hanno raggiunto ottimi risultati grazie a un’elevata specializzazione, passando da un’azienda ad un’altra ottenendo aumenti retributivi e riconoscimenti.
Ognuno ha la sua strada che dipende a parte che dalle opportunità anche dalle proprie motivazioni profonde che intervengono nelle scelte che dobbiamo fare.
Se ho una forte motivazione tecnico-funzionale (come direbbe Schein, cfr. test delle ancore di carriera di Schein) probabilmente scelgo un ambito e lavoro in quello tutta la vita con diverse responsabilità e complessità. Un ambito che si presta è l’amministrazione, finanza e controllo.
Se sono un “gestionale” probabilmente gestisco progetti di varia natura magari in settori diversificati.
Un “fil rouge” nella nostra cultura è gradito, ricercato…
Detto questo il principio fondamentale è partire da sé per essere soddisfatti sia alla fine sia durante il percorso e non seguire il cosiddetto mercato. In fondo dobbiamo cercare una posizione e le analisi di mercato invece danno tendenze generali…
Il lavoro poi non si cerca solo tramite annunci e società di ricerca e selezione: lo ripeto da anni in base sia alla mia esperienza (dopo i 40 anni non ho più usato HH e quando li ho usati sono stati delle fregature), sia a quella delle centinaia di persone che ho supportato. Questi due canali coprono dal 20 al 30% complessivamente di quelle che sono le opportunità del lavoro nel mercato in un certo momento. Il resto è networking e autocandidatura. Basta informarsi leggendo le varie rilevazioni delle Istituzioni stesse (Istat, Isfor, Camere di Commercio, etc.).
D. Oggi come oggi, una gran parte delle ricerche di personale è pubblicata su LinkedIn prima ancora di coinvolgere società di ricerca specializzate. In questo caso è necessario monitorare costantemente il canale social. È questa la strada da percorrere? Quali sono le cose da prendere in considerazione? È vero che se non intercetti queste opportunità nei primissimi giorni dalla pubblicazione le chance di essere presi in considerazione diminuiscono rapidamente? Quali sono le tue raccomandazioni?
È vero che i social, Linkedin in particolare, negli ultimi anni si sono imposti su tutto, tanto che ancora oggi molti credono che se uno cerca lavoro, qualsiasi esso sia, deve essere su LinkedIn (secondo me dipende dal lavoro e dal mercato in cui si opera), come se essere presenti fosse un’assicurazione per essere cercati. Quanti sono su LinkedIn oggi? 675 milioni: se il profilo non è ben fatto e se vogliamo cambiare strada non è sufficiente.
Ma non basta: è bene leggere la propria “home page” su LinkedIn, alimentarla specificando gli interessi su persone di riferimento, aziende che interessano, gruppi, associazioni. Interagire con persone o aziende che pubblicano contenuti. Non autoincensarsi quanto si è preso un diplomino… LIn non è Facebook, quindi va bene interagire ma sempre in modo professionale. Cercare contatto non chiedendo semplicemente la connessione, ma con una motivazione per quanto generica, altrimenti si può essere presi per spammer. Se uno non alza gli occhi dal PC su cui lavora allora si faccia aiutare da un career coach bravo, esperto di qualche settore di mercato, quindi più un consulente che un esperto di processo. Qui la scelta non è semplice perché in troppi ormai fanno i coach anche se non hanno mai avuto un lavoro di prestigio o non hanno mai cambiato… o hanno operato solo a livelli medio-bassi in mercati generici. Un cv non vale l’altro, un incontro con un career coach non vale l’altro e quello che si deve cercare in ogni caso non è il contatto, che è solo un’eccezione.
Nel caso dei giovani più che il coach che ti aiuta a ragionare serve un “mentor”, ovvero un consulente che ti dica come fare con te disponibile a seguirlo con fiducia.
D. Come GoodGoing! può supportare quanti si trovino in questa situazione? Quale percorso e di quali vantaggi beneficerebbe chi fosse alla ricerca del nostro supporto?
GoodGoing! Career Empowering è una rete selezionata di professionisti senior che sono sul mercato e che hanno cambiato lavoro essi stessi molte volte, oltre ad aver selezionato persone e consigliato amici e conoscenti. A tutto ciò si aggiungono le competenze su settori come l’ICT (che ormai è come dire tutto, se ci pensate, visto che il digitale interessa sia le imprese che vendono prodotti e servizi digitali sia tutte le organizzazioni e le professioni che li usano ormai), la consulenza, la finanza, il retail. I nostri partner hanno anche le certificazioni ICF e WABC come coach professionisti. Il nostro supporto è centrato unicamente sul lavoro. Come cercarlo, come progredire, come lasciarlo, come inventarsene uno, come affrontare nuove sfide nella consulenza, nell’imprenditoria, nelle start-up. Abbiamo tutti insieme un ampio network perché siamo networker della prima ora, da quando non se ne parlava ancora, ma era nelle nostre corde, e siamo attenti, curiosi e appassionati, aperti alle influenze del mondo anglosassone che è sempre avanti anche se deve essere adattato alla nostra cultura ed al nostro paese.