Ah! la sintesi nel cv o nella presentazione di sè. Dipende anche dalla lingua usata...
Spesso noi interpreti all’inizio dell’evento ci incontriamo con gli oratori che tradurremo per un rapido scambio di informazioni.
Se l’oratrice è anglofona le ricordiamo che “Italian is about 30% longer than English”.
Non è un tentativo di salvarci la faccia preventivamente, dovessimo mai avere delle difficoltà di resa, ma è effettivamente è così.
Provate a inserire un testo in inglese su Google translate (OMG…I mentioned it!*) e ne avrete un’immediata conferma.
(A questo punto avrete usato al meglio l’applicazione Google e potrete dimenticarvi della sua esistenza per tutto il resto della vostra vita, onde evitare figure che, nella vostra posizione, non potete permettervi. Esistono alcuni programmi di traduzione automatica che funzionano discretamente, ma Google translate non è tra questi: può servire per comprendere un testo ma non per produrlo.)
Oltre a essere più breve perché ha un numero molto elevato di parole monosillabiche o bisillabiche, l’inglese è oggettivamente più sintetico.
Non è semplicemente una questione linguistica, bensì di impostazione concettuale: mi si passi la generalizzazione, ma non penso di poter essere contraddetta se dico che la cultura anglosassone è più pragmatica e quella latina più astratta. I motivi storici che spiegano questo dato di fatto sono molteplici e molto interessanti, ma esulano dallo scopo di questi post, e comunque richiederebbero una trattazione approfondita.
La sintesi è una dote che va allenata
I miei coetanei ricorderanno che alle elementari e alle medie ci veniva chiesto di fare molti riassunti, nei quali dovevamo distinguere le idee principali da quelle secondarie e riscrivere il testo limitandoci alle prime. Ora ho l’impressione che non sia più così, e non ho le competenze didattiche necessarie per esprimere un giudizio in merito a questa evoluzione. Posso però dire che la capacità di sintesi a me serve moltissimo, in particolare quando mi esprimo in inglese: ben lungi dal rappresentare semplicemente una tecnica redazionale, contribuisce a creare una forma mentis capace di “vedere” la struttura concettuale del discorso, sulla quale si innestano i vari componenti (frasi, parole, nessi logici, ecc.).
L'acronimo K.I.S.S.
Ho già avuto modo di tessere le lodi dell’approccio indicato dall’acronimo K.I.S.S., ossia Keep It Short and Simple, e di illustrarlo a volo di uccello. Ritengo che sia essenziale per chiunque voglia comunicare in inglese. Serve ora qualche strumento pratico per applicarlo.
Ecco una breve guida:
Privilegiamo, ove possibile, costruzioni sintattiche semplici: Soggetto-Predicato-Oggetto (SPO).
Sento già il coro di obiezioni: “Ma come? Mi devo esprimere come un bambino di 8 anni?”. Ebbene sì, più o meno. Temi che potresti parere infantile, incapace di gestire proposizioni complesse, incisi, digressioni? Trova su internet il video di un buon oratore anglofono e ascoltalo in modo selettivo, soffermandoti sull’organizzazione del discorso (ti suggerisco David Cameron se preferisci la variante britannica e Barak Obama se invece propendi per quella statunitense). Poi fammi sapere cosa ne pensi.
Evitiamo le ridondanze: conosciamo tanti sinonimi, ma non serve usare 3 aggettivi con lo stesso significato per definire un sostantivo, che peraltro è postposto, e quindi le lunghe stringhe di aggettivi sono parole al vento fino a quando non arriva il nome a cui si riferiscono. Cosa rimarrà nella mente del tuo ascoltatore? Stessa cosa dicasi per altre componenti del discorso.
Se qualcosa è evidente, inutile esplicitarla; se invece potrebbe non essere di comune comprensione (ed esempio, un acronimo che qualcuno del pubblico magari non associa a nulla), spendiamo due parole per menzionare il concetto per esteso, almeno la prima volta. Chiediamoci sempre chi ci sta ascoltando e preoccupiamoci di fare passare il messaggio. Il resto verrà da sé.
Alcune costruzioni hanno una frequenza d’uso maggiore in una lingua rispetto all’altra.
Ad esempio, l’italiano usa frequentemente la nominazione laddove l’inglese preferisce la costruzione SPO (Soggetto-Predicato-Oggetto). “L’umiltà dei suoi occhi mi commuove” - “I’m touched by his humble eyes”.
Lo stesso dicasi per la forma passiva, più frequente in italiano che in inglese, che la utilizza prevalentemente nello scritto.
Anche il lessico contribuisce a rendere naturale il discorso nella lingua inglese, il cui vocabolario è composto da vocaboli di origine anglosassone e vocaboli di origine latina. I primi sono percepiti dai madrelingua come più concreti e di uso quotidiano, i secondi più astratti ed eruditi.
Ecco perché, quando i ragazzi italiani vanno in un paese anglofono per la prima volta, spesso stupiscono i coetanei, che si chiedono come mai uno straniero con un livello linguistico a malapena intermedio, usi con disinvoltura la parola “fraternal” invece dell’equivalente “brotherly”. Ovviamente, per noi la prima è di più facile memorizzazione della seconda. Si tratta di differenze che si devono conoscere per adattare il proprio registro, ossia il livello di formalità/informalità del discorso. Un registro inadeguato può creare situazioni imbarazzanti.
Va anche aggiunto che i madrelingua fanno uso dell’intonazione per conferire significato, per enfatizzare o stemperare, esprimere perplessità o ironizzare, economizzando quindi sugli avverbi.
Difficilmente uno straniero che non sia stato esposto alla lingua in misura sufficiente può raggiungere tale grado di maestria, ma lavorare sull’intonazione è comunque molto importante, fosse solo per essere compresi e non lasciare nel dubbio il nostro interlocutore, che potrebbe non capire se stiamo facendo una domanda o un’affermazione. Su internet si trovano numerosi esercizi e tutorial, ma occorre avere un orecchio sopraffino per auto valutarsi. In questo caso ricorrere a un esperto rappresenta un’utile scorciatoia.
E da ultimo un esempio!
Per esemplificare quanto esposto in questo post denso di spunti, a mio avviso da tenere presente anche quando ci esprimiamo nella nostra lingua, ecco una frase “prima e dopo”, ossia come avrebbero la tentazione di renderla molti italiani, anche con livelli avanzati di conoscenza dell’inglese, e come suggerisco di trasformarla:
Prima: “There is a widespread belief among psychologists according to whom the human psyche, defined in different manners based upon the conceptual standpoint of the theorists, be they religious or not, is dependent on cultural factors.”
Dopo: “Many psychologists following different schools of thought believe that our mind is heavily influenced by our culture.”
Less is more: less words and details but more clarity and impact.
E ciò mi porta al titolo di questo post. Fourth Kiss non sta per quarto bacio, peraltro proibitissimo in questo periodo di distanziamento sociale, bensì quarto post sul principio racchiuso nell’acronimo KISS**, ossia KEEP IT SHORT AND SIMPLE. Una bussola sicura verso la comunicazione efficace, in particolare in lingua inglese.
One more kiss to come soon…
* “Oh My God…I mentioned it”, ossia “Oh mio Dio…ho pronunciato questo nome”. Ebbene sì, per un interprete o traduttore professionista, Google Translate è veramente impronunciabile, tanto le sue traduzioni sono spesso improbabili.
** “KISS” è anche l’acronimo di Keep it Simple, Stupid…ma, visto l’alto livello di chi legge, in questo caso non si applica assolutamente.
Ti sei perso il mio Third Kiss? Non ti preoccupare, puoi ancora leggerlo cliccando qui