Second kiss: a cosa serve la retorica nella ricerca del lavoro
La retorica: una definizione "strategica"
Matt McGarrity, professore di Public Speaking presso l’Università di Washington, definisce la retorica come “l’arte di identificare le esigenze comunicative e di rispondervi strategicamente”, dove con l’avverbio “strategicamente” si intende “con gli strumenti più adeguati”.
In questa definizione estremamente concisa ed operativa, è centrale il concetto di identificazione del bisogno, ossia la risposta alle seguenti domande: qual è il mio obiettivo nella comunicazione? perché comunico? chi è il mio pubblico? quali sono i suoi bisogni?
Pare banale, elementare, lo abbiamo studiato tutti… e poi lo abbiamo dimenticato.
Se così non fosse non si spiegherebbe perché, nella maggior parte delle conferenze internazionali, in presenza di illustri ospiti venuti dai cinque continenti, siano rari gli oratori italiani che si immedesimino nel loro pubblico e che si rivolgano ai partecipanti con l’autentico intento di farsi comprendere e di comunicare contenuti che possano realmente interessare e coinvolgere. Spesso il focus della loro attenzione non è l’altro ma se stessi e la parola diventa auto riferita e sterile, si ferma a pochi centimetri dall’oratore e non arriva al pubblico, che perde interesse. Se la platea è composta prevalentemente da Colombiani, possono verosimilmente appassionarsi alle scaramucce politiche locali? Possiamo dare per scontato che conoscano Vespa o forse sarebbe utile spiegare brevemente di chi si tratta, o ancora meglio evitare di citarlo del tutto e pensare a qualcuno con un respiro più internazionale? Per esempio, la Carrà…😉
Parlare di esigenze comunicative sottintende che l’atto che compiamo sia essenzialmente un servizio, nel senso più nobile e meno mercantile del termine. Tu hai una necessità e io posso e voglio soddisfarla, mi metto al tuo servizio: questo dovrebbe essere lo spirito. I bisogni da colmare possono essere svariati: dal semplice scambio di informazioni, all’insegnamento / formazione / aggiornamento, dalla consulenza alla motivazione, dalla pubblicità alla persuasione. Il contesto può essere divulgativo o di altissima specializzazione. Sebbene il nostro approccio si debba adattare a queste variabili in modo professionale e flessibile, alcuni orientamenti sono di validità universale, in particolare quando ci esprimiamo in lingua inglese e non siamo madrelingua.
Il primo consiglio
Il primo è già stato presentato: rivolgiti all’altro, a tutti, non a pochi eletti o, peggio ancora, a te stesso.
- È ovvio che la circostanza è ansiogena, puoi trovarti a parlare da un podio a centinaia di persone che sono lì per ascoltarti, che nutrono elevate aspettative, che hanno investito il loro tempo e il loro denaro per sentire ciò che hai da dire.
- Oppure stai affrontando un colloquio di lavoro, la selezione è dura, lunga e snervante, ci sono altri candidati molto competenti, ci tieni moltissimo.
- O ancora, hai massimo 2 minuti per presentare il tuo progetto o la tua start up in occasione di un elevator pitch che, per l’appunto, dura quanto una salita o una discesa in ascensore, ma è molto meno noioso…
Non importa in quale situazione ti trovi, concentrati sul tuo interlocutore, stai nel qui ed ora, zittisci l’insicurezza e la critica interiore, sii il più possibile te stesso e molla gli ormeggi.
Il secondo consiglio
La preparazione è fondamentale e nessuno, oggi, si presenta a un appuntamento di lavoro importante senza essersi informato, o a un convegno senza avere elaborato al meglio la sua presentazione, sia la parte orale che grafica.
Se ci si deve esprimere in inglese, già nella fase preparatoria è cruciale adeguarsi ai canoni utilizzati in quella lingua e nella cultura anglosassone, che saranno man mano trattari nei successivi post.
Due trappole vanno comunque evitate: il perfezionismo e l’innaturalità.
Il terzo consiglio
Il perfezionismo ci blocca, l’innaturalità ci fa sembrare affettati, finti.
A nessuno fa piacere ascoltare un discorso letto o recitato a memoria, e nemmeno una presentazione che ricorda un’opera teatrale. In entrambi i casi manca l’anima e la spontaneità.
In entrambi i casi il non verbale non sarà allineato con quello che diciamo, creando un disallineamento che viene percepito dal pubblico, magari a livello inconscio, e che non lascia una buona impressione.
Convengo che sia tutt’altro che facile esprimersi con disinvoltura in una lingua straniera, pur conoscendola bene o discretamente. Spesso si cerca di superare questa difficoltà in modo aspecifico, con corsi di lingua (vocabolario, grammatica, sintassi), che sono essenziali, ma che non affrontano in modo specifico la sfida comunicativa. Talvolta la difficoltà stessa non è ben circoscritta e si ritiene di dovere migliorare la pronuncia, per esempio, mentre il problema principale risiede nell’intonazione, o nella struttura del discorso, come vedremo successivamente. Fare una diagnosi delle lacune è il primo passo per colmarle in modo mirato e in tempi ragionevoli.
Il quarto consiglio
Alcune sessioni di coaching mirato alla comunicazione in inglese possono spesso sciogliere nodi di cui talvolta non si è nemmeno pienamente consapevoli, consentendo ad ogni oratore di esprimersi al meglio e con il proprio stile personale e unico anche in una lingua straniera più concisa e lineare.
E ciò mi porta al titolo di questo post. Second Kiss non sta per secondo bacio, peraltro proibitissimo in questo periodo di distanziamento sociale, bensì secondo post sul principio racchiuso nell’acronimo KISS*, ossia KEEP IT SHORT AND SIMPLE. Una bussola sicura verso la comunicazione efficace, in particolare in lingua inglese.
One more kiss to come soon…
Ti sei perso il mio First Kiss? Non ti preoccupare, puoi ancora leggerlo cliccando qui.
* “KISS” è anche l’acronimo di Keep it Simple, Stupid…ma, visto l’alto livello di chi legge, in questo caso non si applica assolutamente.