“La casa nella pineta” di Pietro Ichino
La trama
Nella primavera del 1962 la famiglia Ichino riceve una visita dell'amico don Lorenzo Milani. Indicando i libri e il benessere che si respira in quel salotto milanese, il priore si rivolge a Pietro, tredicenne: ''Per tutto questo non sei ancora in colpa; ma dal giorno in cui sarai maggiorenne, se non restituisci tutto, incomincia a essere peccato''. Marchiato a fuoco da questo monito, che pur nella sua radicalità racchiude in sé molti altri insegnamenti familiari, il protagonista di queste pagine rifiuta di intraprendere la carriera di avvocato al fianco del padre amatissimo per dedicarsi al movimento operaio, ritrovarsi cooptato nel palazzo del potere ma poi farsene cacciare, studiare il Diritto del lavoro nell'epoca drammatica della fine delle ideologie, del terrorismo rosso e poi della sua nuova fiammata al passaggio del millennio. In questo libro insolito, al confine tra un racconto intimo e il grande affresco di un'epoca, le vicende pubbliche si intrecciano alla storia di una famiglia italiana che raccoglie in sé l'eredità ebraica e un cattolicesimo dalla forte vocazione sociale e che ha eletto la Versilia a proprio luogo dello spirito. E' così che - dalle persecuzioni razziali al Concilio Vaticano II, da Bruno Pontecorvo a Piero Sraffa, dal '68 all'assassinio di Calabresi, dal Pci di Pietro Ingrao fino alle riforme del Diritto del lavoro - la ''casa nella pineta'' diventa il crocevia di vite vissute con singolare intensità, dove generazioni di padri e di figli dalle anime inquiete possono crescere, amarsi, perdersi e ritrovarsi.
L'autore
Pietro Ichino (Milano, 22 marzo 1949) è un giurista, giornalista e politico italiano. Già deputato dal 1979 al 1983 come indipendente eletto nel Partito Comunista Italiano e senatore dal 2008 al 2013 eletto nel Partito Democratico, è senatore eletto nella circoscrizione Lombardia nella lista Con Monti per l'Italia e docente ordinario di Diritto del lavoro nell'Università degli Studi di Milano. A febbraio 2015, ritorna nel PD.
Il libro per me
Seguo la politica per essere aggiornata e per votare consapevolmente, ma ormai la politica è talmente “spettacolarizzata” che sinceramente non seguo un politico in particolare, a parte qualche piccola eccezione. Pietro Ichino è una di queste eccezioni specie da quando, oltre 15 anni fa, sono entrata nel mondo del lavoro dalla parte di quelli che non solo ci appartengono perché lavoratori, ma come professionista e imprenditrice per dare un contributo supportando manager, professionisti, imprenditori che vogliono sviluppare le loro competenze e migliorarsi dal punto di vista professionale.
Ho avuto occasione quindi, di seguirlo negli anni e in particolare durante il concepimento del Jobs Act. Da anni leggo la sua newsletter settimanale, mentre l’ano scorso ho seguito la presentazione del suo libro al Palazzo del Lavoro di Gi Group a Milano. Ne ho anche acquistato il libro e chiesto la dedica per donarlo a mio marito, che condivide con me la stima per il professore oltre che amare il Forte (Forte dei Marmi) e la Versilia.
Della presentazione ne ricordo l’intimità: in fondo è il racconto della storia della sua famiglia, sembra un romanzo come quello di certe autrici sudamericane che amo (Paula Allende o Marcela Serrano), il coraggio di dire di fronte a una platea sconosciuta cose molto intime come la fede, i valori, …
Del libro ho apprezzato il tutto: sia la storia della famiglia, sia la sua storia e soprattutto la sua presa di posizione personale nei confronti del proprio “senso”: abbiamo dei talenti da far fruttare. Lui ha il talento del giurista che applica al mondo del lavoro dalla parte dei lavoratori. Mi sento perfettamente in linea con questa mission specie da quando sto conducendo la mia seconda carriera come career coach, esperta di outplacement, imprenditrice nell’ambito del Coaching e della Formazione.
In particolare, ci sono alcuni passaggi – vere e proprie piccole di saggezza - che mi sono segnata:
Sulle difficoltà
"L’insegnamento della nonna Paola: “Quando ci accade qualcosa che non avremmo desiderato, c’è quasi sempre un aspetto positivo: tutto sta nel trovarlo e nel saperlo valorizzare”".
Come non pensare proprio in questi giorni agli impatti e alle successive conseguenze del lockdown sulle nostre vite, piuttosto che alla storia di Alex Zanardi…
La vita è democratica nel dispensare gioie e e dolori, quello che fa la differenza è proprio la nostra risposta a questi accadimenti.
Sul dovere
“Questa “retorica del dono”, certo, prima che da un nobile francescanesimo nasceva dall’abbondanza in cui comunque vivevamo. Ma c’era, in essa, anche qualcosa di titanico: una fede granitica nella capacità di coltivare il lato buono del proprio essere vincendo pigrizie e avarizie; “granito del Sinai” dicevo il nonno, ironizzando su questo e latri tratti tipici della famiglia ebraica della nonna. Dunque, in definitiva, una fede nella propria eccellenza morale, assai irritante per molti interlocutori. E anche la convinzione ce riuscirci fosse un dovere verso l’umanità circostante: dovere, questo, che in qualche misura è stato vissuto come un macigno da alcuni di noi, che se ne sono sentiti schiacciati”.
Mi ricorda che il cognome di mia mamma è “Simeoni”, che credo fermamente nella parabola dei talenti, sono quasi calvinista a volta, più che cattolica…
Sulla fede in Dio
"E aggiunse (ndr. è Padre Acchiappati che parla): “Quando ci incontriamo con i nostri fratelli protestanti, ortodossi, ebrei” non menzionò i musulmani, ma penso che oggi lo avrebbe fatto, se ciascuno si spoglia della sua cultura di origine e si sforza di togliere dalla sua religione tutte le incrostazioni che si sono depositate sopra nel tempo, di scarnificarla fino a ridurla a ciò che è davvero essenziale, fino a viverla davvero in spirito e verità, scopriamo che ciò in cui crediamo è sempre la stessa cosa, è sempre il fuoco che i discepoli di Emmaus sentivano nel loro cuori”".
Sul dovere morale
“Un giorno, nella primavera del ’62, eravamo tutti – lui (ndr. don Milani), i miei genitori, le mie sorelle e io – nel bel soggiorno della nostra casa di via Giotto, quando don Lorenzo, facendo un gesto circolare per indicare tutto quel benessere, mi disse: “per tutto questo non sei ancora in colpa, ma dai ventun anni, se non restituisci tutto, incomincia ad essere peccato””.
Li chiamavano catto-comunisti, anche io sono stata appellata così. Ma mi sembra un onore!
Sulla montagna
“Anche questo amore per la montagna ci è stato trasmesso consapevolmente, come parte fondamentale del “saper stare nel mondo” in modo coraggioso e attento. Montagna intesa come il salirne e il scenderne le pendici; conoscerne i segreti; non averne paura ma anche considerarla con il dovuto rispetto; non sfidarla mai per il gusto del rischio, ma saperla usare per sfidare se stessi, mettersi alla prova, educarsi alla fatica e alle difficoltà, affinare il proprio spirito. Perché la montagna, come gli scacchi, è una grande metafora della vita. Saper vivere bene la montagna aiuta a vivere bene la vita anche in pianura.”
Sono una figlia della montagna, orgogliosa di esserlo.
Sul lavoro part-time
Il contrasto era ancora più duro su un altro fronte allora aperto: il riconoscimento del lavoro a tempo parziale. A quell’epoca l’Italia era uno degli ultimi due o tre Paesi europei che non avevano ancora riconosciuto la possibilità del lavoro part-time; a opporsi in modo durissimo erano soprattutto le femministe del PCI, guidata da Adriana Seroni, che da un decennio presidiava da deputata il Parlamento sbarrando il passo a qualsiasi proposta su questa materia, ed Erias era ovviamente anche lei in prima linea su questo fronte.
Ci siamo arrivati al part-time anni dopo, nonostante le femministe del Pci. Non lo sapevo e ne sono stupita.
Sulla riqualificazione professionale
(Parlando di Bruno Trentin) La sola cosa che mi ripeteva era: “Batti molto sul diritto dei lavoratori, dei disoccupati per primi, alla formazione professionale. Dobbiamo arrivare a un sistema per cui chi perde il posto, o chi vuole cambiare, ha diritto a un percorso di riqualificazione efficace per trovarne un altro”.
Non ci siamo ancora, ahimè.
Sulla politica
“Questo è fare politica. Ed è un mestiere diverso da quello dello studioso puro. Se vuoi diventare un buon politico, devi imparare a preoccuparti un po' meno di salvarti l’anima proclamando la verità agli ignoranti, e a preoccuparti molto di più di incidere nella mente di chi ti ascolta.”
E molte altre sui nostri tempi. Veramente una lettura interessante.